MARGERITA DA CORTONA (1937)

Leggenda in un prologo e tre atti
Libretto di Emidio Mucci
Musica di Licinio Refice
Prima esecuzione: Teatro alla Scala di Milano il 1° gennaio 1938
Interpreti principali: Augusta Oltrabella – Francesco Valentino – Giovanni Voyer – Tancredi Pasero – Nini Giani – Tatiana Menotti.
Direttore Franco Capuana
Maestro del Coro: Vittore Veneziani
Regista: Mario Frigerio
Scene e costumi: Michele Cascella.

PROLOGO

È senza dubbio il capolavoro teatrale di Refice. Siamo in presenza di una vera opera lirica, che puo’ reggere il confronto con il miglior repertorio. La protagonista prima della conversione fu peccatrice, perciò nella rappresentazione hanno spazio la rivalità, la gelosia, il delitto passionale… e infine la conversione pressoché universale.

Davanti al palazzo del barone di Cortona, Arsenio è in procinto di partire per una battuta di caccia. Margherita, sua attuale amante, ha foschi presentimenti e non vorrebbe lasciarlo partire, ma Arsenio si mostra sicuro e sorride delle apprensioni dell’amata, dalla quale si congeda spronando il suo cavallo. È appena partito Arsenio che ecco farsi avanti Chiarella, abbandonata da Arsenio per le grazie di Margherita. Tra le due donne nasce una disputa verbale molto accesa, nella quale entrambe le donne si rinfacciano le umili orgini. “Pastora!” – grida Margherita. E Chiarella: “Ma tu, figlia di contadini!... Hai mietuto il grano, falciato l’erba, raccattato le olive… Io almeno non sono fuggita di casa”. Margherita, al colmo dell’ira, dice: “Taci. Hai un serpe nella bocca! Te lo dico per l’ultima volta, torna al tuo gregge! Né più comparirmi dinanzi”. Margherita rientra adirata nel castello e Chiarella se ne torna ai suoi campi. Sulla scena irrompono suoni di corni che precedono voci e quindi il capocaccia che annuncia una sventura. Stanno riportando morto il padrone. È stato colpito da sconosciuti poco dopo la partenza, mentre attraversava un bosco. Esce dal palazzo Margherita e si precipita sull’amato. “No! No! Non è vero! Ditemi che non è vero!”. La sua ira è squassante. Promette che strapperà il cuore dal petto del colpevole con le proprie mani. Proprio in quel momento passa un gruppo di penitenti (così frequenti in quei tempi) che canta un inno alla croce. Margherita solo un momento si distoglie dai suoi propositi di vendetta, poi torna a urlare la propria disperazione: “Io stessa strapperò il cuore all’assassino!”.

ATTO PRIMO

Davanti alla casa di Margherita, dove l’amante di Arsenio intende tornare. Qui la raggiunge Uberto, che l’ama e per averla ha ucciso il rivale. Margherita però non lo sa. Il giovane dice di averla raggiunta perché ha saputo con raccapriccio l’accaduto e ha intuito il suo dramma. Intende proporle una via di uscita. “Da quando vi conobbi fanciulla ho sempre serbato un caro ricordo di voi. Sono contento che la giustizia abbia raggiunto i colpevoli…”. Margherita non sa nulla della cattura dei colpevoli e chiede chi siano. “Due pastori, fratelli di una certa donna sedotta e abbandonata”. Margherita grida subito il nome: “Chiarella?”. Proprio lei, conferma Uberto, che passa subito a prefigurare la vita di Margherita: “Adesso siete sola”. Margherita svela il suo proposito: “Torno da mio padre”. Uberto prospetta le difficoltà. Non c’è più la mamma. Il padre si è risposato e la matrigna non solo è prevenuta, ma ha completamente reso succube l’uomo. “Che cosa devo fare?” – chiede Margherita. Risponde Uberto: “Tutte le porte della vita si apriranno per voi. Tornerete a possedere palazzi, a sfavillare di gemme, avrete affetti veraci…”. Margherita resiste alle lusinghe. “Sento che non mi è consentito… Ho tanto sofferto… Peccherei e soffrirei ancora di più… Debbo prostrarmi ai piedi di mio padre…”. Uberto desiste, ma la donna non cede. Prima di partire, Uberto assicura Margherita: “Mi troverete sempre pronto a accogliervi”. Margherita bussa alla casa paterna. La scena che ne nasce è forse la più bella dell’opera. I tratti psicologici del padre e della matrigna, sia pure riconducibili a uno stereotipo, sono delineati con pennellate felici, sia nel testo che nella musica. Dalla casa esce il padre, diretto alla chiesa per la messa.

MARGHERITA: Padre mio!

PADRE: Era corsa voce che fossi morta…

MARGHERITA: Meglio per me sarebbe stato, piuttosto che vivere in quest’onta che tutta mi brucia!

PADRE: Ebbene? Che vuoi ora da me?

MARGHERITA: È tanto… è troppo… lo so.

PADRE: Affrettati.

MARGHERITA: Padre, lasciate che lo dica: tornare… tornare presso di voi!

PADRE: Mai no! Questo no e poi no! Di certo i parenti del nobile t’hanno scacciata e sei ridotta alla fame.

MARGHERITA: Se volessi potrei ancora godere di terre e di servi.

PADRE: Mentisci.

MARGHERITA: Lo giuro.

PADRE: Allora, qual fine ti guida?

MARGHERITA: Se vi dicessi… Anche prima che il poveretto venisse stroncato…

PADRE: Che Iddio lo giudichi!

MARGHERITA: Anche prima, più volte fui in procinto di accorrere qui… Pure, verità: egli aveva promesso di condurmi all’altare.

PADRE: Fole a un’illusa!

Dopo aver raccontato le ultime peregrinazioni, Margherita parla al padre di un sogno. Le è apparsa la mamma e le ha suggerito di tornare a casa.

PADRE: Perché non l’hai tenuta viva nel cuore quando il maligno ti tentava? Allora non ti è apparsa, allora non ti ha parlato. E sei fuggita per andarti a giacere con lui – che Iddio lo giudichi – e ci hai reso ludibrio del paese!

MARGHERITA: Padre, io sono tornata, fidente soltanto nella vostra pietà. Sono vostra figlia! Scuotetevi di dosso tanta durezza. Sarò la serva, la schiava. Guiderò le pecore per i tratturi, dormirò nella stalla, mangerò un tozzo di pane raffermo, ma non mi abbandonate. Vi supplico! Vi supplico! Pietà!

Si gettano l’una nelle braccia dell’altro. Ma proprio in quel momento compare sull’uscio la matrigna e vede il marito nelle braccia di una donna.

MATRIGNA: Così ascolti la messa? Sfrontato!

PADRE: Sapessi! Non la ravvisi?.. È lei!

MATRIGNA: Chi lei?

PADRE: Voci false quelle a noi pervenute. Discendi… guardala… accostati…

MARGHERITA: Sono io: Margherita.

MATRIGNA: Tu?! Tu qui?! E hai osato apprestarti al nostro tetto? E tu, stolto… hai permesso…

MARGHERITA: Sono pentita. Espierò.

MATRIGNA: La svergognata! La ribalda! Taci. Non voglio ascoltare. Non voglio sapere. So bene che l’anima tua è coperta di lebbra e dove tocchi, contamini, e dove ti rechi, porti sventura!

PADRE: Se avessi udito… se udissi anche tu…

MATRIGNA: Segno santo di croce, no! Sotto il nostro tetto non deve albergare il disdoro. (Rivolta a Margherita:) Torna ai tuoi castelli, alle tue dovizie. (Rivolta al marito:) E tu rincasa e fa ammenda.

PADRE: Vogliamo lasciarla così… in pasto ai lupi del male? È pentita. È pronta alle fatiche più dure.

MATRIGNA: Ebbene non più. Ma scegli: o me o la sfrontata!

Il padre di Margherita a passi lenti rientra in casa, mentre la figlia in delirio per la disperazione ha un colloquio immaginario con la madre.

MARGHERITA: La tua voce… la tua bianca voce… Sì: mi chino sul tuo petto…Sì… parla… ti ascolto… Mamma! Mamma mia! (Quindi, con voce mutata, quasi fosse la mamma che le parla:) “Margherita! Non gettare la tua gemma… La tua bellezza di luce… Sarai luce! Giardino di luce, giardino d’amore!”.

Intanto la messa è terminata. I fedeli escono dalla chiesa al rintocco delle campane. Margherita chiama per nome le sue compagne, che la riconoscono. Si instaura una sorta di processo popolare. Le donne sono favorevoli al perdono, gli uomini per la severità. Gli uomini hanno il sopravvento e le donne sono costrette da essi a rincasare. La Matrigna, con tono sprezzante, prima di rincasare anche lei, lasciando sola la figliastra: “La buona sorte, Margherita!”. Uberto, che deve aver osservato non visto tutto l’accaduto, si fa avanti promettendole di nuovo il successo e la felicità. Margherita cede: “Il cielo s’apre in sorriso di sole… Sono una foglia al vento… una povera cosa smarita… Mi affido… Ecco: conducimi, conducimi tu, Uberto!...”.

ATTO SECONDO

Margherita ha seguito Uberto, ma in realtà non si è concessa a lui. Vive a Cortona e è divenuta la guida spirituale della città. Una brigata di giovani canta sotto le finestre della sua casa. Uberto, che non si allontana da quel luogo, li rimprovera. I giovani lo scherniscono. Gli dicono grosso modo: “Tu vuoi che non cantiamo i nostr stornelli damore perché qui aita la pentita… Temi che le si abbia ad arricciare il naso ascoltando..”. Uberto li mette in fuga e poi bussa alla porta di Margherita, per dirle che è in pericolo e deve fuggire con lui. Ella infatti è in odio ai nobili per le coraggiose posizioni che ha assunto in favore degli umili.

UBERTO: Tu sei odiata dai nobili, derisa dai saggi, sospetta al clero…

MARGHERITA: Ma non ai giusti e agli onesti…

UBERTO: Ascolta! Tu hai predicato chiamando col nome di Giuda i serventi delle curie, i legislatori, i giudici, i mercanti…

MARGHERITA: Sì, coloro che ogni giorno crocifiggono Gesù.

UBERTO: Ma i colpiti intendono reagire. Sarai catturata, rinchiusa… Seguimi!”.

Margherita resiste e Uberto non si rassegna. Si fa audace, scoprendo il proprio amore troppo carnale per lei e si tradisce. Margherita indovina che è stato lui a uccidere Arsenio e a far ricadere la colpa su Chiarella e i suoi fratelli. “Tu! Tu! Sei stato tu! Come hai potuto?” – gli chiede. “Hai sporcato di sangue le tue mani…”. Uberto confessa. È stato un turbine di sangue nelle vene. Lo ha visto passare nel viottolo, solo a cavallo. “Come nel sogno, come nel sogno lo uccido!”.

MARGHERITA: Tu, tu! Uberto! Hai potuto compiere quest’orrore, questo scempio crudele! E a te mi sono affidata… E hai potuto ingannare la giustizia, accusando anime innocenti? Hai potuto porgermi la mano intrisa di sangue!

Pur di avere l’amore di Margherita Uberto è disposto a ravvedersi, a pentirsi. Vuole essere oggetto di pietà, purché sia Margherita a soccorrerlo.

UBERTO: Come farfalla che aleggia intorno alla lampada e si brucia le ali, e nella luce agonizza… Abbi pietà! Tu che ami gli storpi del corpo e dell’anima, amami con tutto il peso delle colpe, amami per tanto pentimento! Disseta quest’arsura cocente, di cui avvampo!

MARGHERIITA: Cristo, soccorrilo… Che egli non sia trascinato nell’ultimo abisso, sulle viscide ali del demonio!

Un rullio di tamburi interrompe la scena e ne apre un’altra. Un banditore annuncia che su Chiarella e i suoi fratelli cadrà la mano della giustizia. “Cgiarella e i due suoi fratelli, rei d’omicidio sul nobile Arsenio Del Monte, sien condannati al capestro”. Dietro il banditore viene il corteo che conduce al patibolo i condannati. Margherita insorge contro quella che ella sa essere una mostruosa ingiustizia.

MARGHERITA: Giudice del Maleficio! Gente di Cortina! Ascoltatemi! [Qualcuno sussurra: “Adesso chiederà la grazia…”. Margherita invece proclama:] Non clemenza domando, ma giustizia! In verità vi dico: i tre sono innovanti! Non vi macchiate del loro sangue..

Il popolo è tutto dalla parte di Margherita e grida: “Giustizia! Giustizia!”. I nobili, invece, vorrebbero che i tre condannati andassero al loro destino. Lo stesso Uberto attribuisce le frasi di Margherita ai troppi digiuni ai quali si sottopone. “Le hanno sconvolto il cervello” – sostiene. Il giudice vorrebbe le prove della innocenza dei tre condannati e vuole sapere chi sia il vero colpevole.

MARGHERITA: Chiarela e i suoi fratelli sono innocenti, ma sigillate resteranno le mie labbra sul nome del colpevole. Se non mi credete, me inviate al capestro, purché siano salvi gli innocenti.

Il popolo è tutto dalla parte di Margherita e il giudice, nuovo Pilato con una piazza favorevole all’innocenza, emette una nuova sentenza. “Gli imputati siano liberi, sulla parola di Margherita. Sulla vostra coscienza la sorte dei colpevoli”. Poi, però, rivolto a Uberto, dice. “Ti chiedo in nome dei Rettori e del Popolo: perché hai calunniato i tre? Dovrai discolparti e fare dura ammenda”. Uberto si ribella e lancia il guanto di sfida. Raduna attorno a sé il partito dei nobili e esce dalla città minacciando vendetta. L’atto si chiude con manifestazioni di riconoscenza da parte di Chiarella a Margherita.

ATTO TERZO

Cortona è cinta d’assedio. Uberto ha avuto l’appoggio di Siena. Ha la meglio. Penetra in Cortona vincitore.

UBERTO: Abbiam tenuto fde alla promessa?

NOBILI: Sì!

UBERTO: Se un’onda di fango e di cenci indusse i nobili a partire dalla città,. Eccoli ora tornare con la vittoria in pugno, e per sempre. Ma soddisfatti appieno non siamo.

NOBILI E UOMINI D’ARME: La donna! La donna!

UBERTO: Sì: la donna diamo bramosi di togliere! Colei che si è imposta ai rettori, che tene a guinzaglio popolo e clero, colei che inasprisce gli spiriti e fomenta l’urto delle fazioni… la falsa Maddalena, la bellissima, siam bramosi di togliere…

Il popolo si oppone, implora. Uberto, divorato dal desiderio di far sua Margherita, chiede al popolo che gliela lascino e risparmierà la città. “No! No!” – grida il popolo. Uberto muove verso la chiesetta dove sa che Margherita è in preghiera. Dalla porta esce la sua preda con un’alta croce tra le mani e Chiarella al suo fianco. Tutti rimangono attoniti. Margherita canta “con voce che non ha nulla di umano”.

MARGHERITA: Chi mi flagella alla colonna? Chi grida ‘Crocifiggilo! Crocifiggilo!’? Chi mi trapassa mani e piedi con i chiodi? Chi mi colpisce di lancia il costato?

È Cristo che parla in Margherita. La vicenda è trascorsa fin ora con la giusta tensione. Interviene a questo punto una sorta di prodigio: una conversione generale che non è preparata. Uberto si pente e sta per confessare il delitto, Margherita lo interrompe, impedendogli di rivelare una colpa che gli sarebbe costata la vita. Lo invita a partire per la crociata, a liberare il sepolcro di Cristo. Tutti inneggiano a Margherita, anche il padre. Solo la Matrigna non ricompare in scena a glorificare Margherita.

©2007 Michele Colagiovanni