STABAT MATER (1916)

Nel 1916, Refice ebbe la certezza di poter dirigere all’Augusteo di Roma alcune sue composizioni. Fin dal 1914 si era dedicato ad un lavoro di gran mole, la Trilogia biblica “Maria Maddalena”, e il 2 giugno 1916 iniziò la stesura orchestrale dello “Stabat Mater” che sarebbe stato eseguito contemporaneamente nella stagione del 1917. La strumentazione lo impegna per tutto il periodo delle vacanze, ed è terminata il 26 settembre a Patrica, poche giorni prima del rientro a Roma per l’inizio dell’anno scolastico. Lo “Stabat Mater”, è eseguito la prima volta, giovedì 10 maggio 1917 nel gran tempio sinfonico romano, l’Augusteo, nella seconda parte del concerto. Mentre in apertura fu eseguito il Prologo e la seconda parte della “Maria Maddalena”. Era stato organizzato a beneficio dell’Opera Nazionale per l’assistenza civile e religiosa degli orfani dei morti in guerra. Al Termine gli fu offerta una pergamena con un centinaio di firme di artisti ed ammiratori; fra tutti, il grande organista Marco Enrico Bossi. (La pergamena è conservata nel Museo di Patrica). Circa 10 anni dopo, esattamente il 10 marzo 1928, Refice inviava al M° Lavinio Virgili, Direttore della Cappella Lateranense, e suo allievo una copia della partitura della “Missa Jibilaei” con la dedica: …musica che sa di…fumo! e spero… anche di arrosto! Qualche anno dopo, nel novembre del 1931, invia sempre al M° Virgili una copia dello “Stabat Mater” sulla quale scrive: Questa volta è …arrosto! Al mio caro L. Virgili. L. Refice Roma nov. 931 – X. Questa convinzione in Refice era nata insieme alla composizione. Nel fissare su carta il grande strumentale, sentiva di aver realizzato quella perfetta aderenza della musica al testo, della forma al contenuto, momenti inscindibili in un’opera d’arte. E le varie testimonianze di pubblico e di critica, n’erano autentica conferma. L’omaggio a Lavinio Virgili era avvenuto con notevole ritardo rispetto alla data della prima esecuzione, quando tutte le parti erano ancora manoscritte; mentre solo nel 1930 l’Editore Mignani di Firenze stampava la riduzione per canto e pianoforte, realizzata dallo stesso Refice. Solo il 20 luglio 1939, Refice cedeva alla Società G. Ricordi & C. l’autografo dello “Stabat” che usciva con una propria edizione sugli stessi tipi del Mignani. Nel contratto era perfino indicata la durata in minuti 30–40. Entrambi le edizioni recano la dedica “Alla Nobile Signora Justine B. Ward con devoto, riconoscente ossequio”. La Signora Ward era l'insigne benefattrice che già nel 1931 aveva offerto al Pontificio Istituto l’organo Tamburini a tre tastiere e successivamente il grande organo Mascioni a cinque tastiere. Ma torniamo a Refice che per la prima volta ad appena sette anni dal Diploma di Composizione, presentava sue opere all’Augusteo. Nel comporre la Sequenza “Stabat Mater”, testo poetico di 20 terzine (due ottonari ed un settenario), per due solisti, Soprano, Tenore, Coro, Orchestra ed Organo, a Refice torna in mente il tema della Messa che affida al misterioso e trista suono dei clarinetti nel registro basso e dei corni. Alla seconda misura, l’accento sul dissonante accordo, esprime il dolore della Vergine ai piedi della Croce. In sottofondo, il fruscio del tremolo degli archi, nella tonalità di La minore, c’immerge nel panorama nella tragica realtà della Crocifissione. L’inizio del coro della sezione maschile, con i lunghi suoni alle parole: Stabat Mater, interrotto alla mis. 9 dalla forma sincopata dei tenori primi, del trombone 1° e del corno 1°, col quale Refice esprime il singulto, il singhiozzo del pianto della Vergine e delle altre pie donne inginocchiate e preganti, alla quale risponde quella femminile: Juxta Crucem lacrimosa…., rendono visivamente la staticità della crocifissione. Alla mis. 17, i clarinetti riprendono il tema all’ottava superiore (in Sol minore), iniziando una fase imitativa, alla quale si aggiungono via via i flauti e alla mis. 23 i tromboni con i corni, raggiungendo la massima forza espressiva con un pieno di ottavino, flauti, oboi, clarinetti, tromboni e corni. Al termine della frase del coro: dum pendebat filium, il tema si affievolisce; rimangono i soli corni, trombe ed il tremolo degli archi. Quindi l’inizio della 2^ terzina, con la sola sezione dei soprani: Cujus animam gementem. La 3^ terzina: O quam tristis et afflicta, con un nuovo tema (mis. 53) affidata al coro maschile diviso a quattro voci in forma imitativa e sostenuto solamente dai fiati. 4^ terzina: Quae moerebat et dolebat... all’unisono con i tromboni e con un andamento ritmico degli archi tutto molto piano, rivela quel gran polifonista che è Refice, con capacità di intreccio e sviluppo dei temi, per giungere all’ultima parte della frase:…nati poenas incliti, con il solo organo. (mis.146) Le successive quattro terzine, dalla 5^ all’8^ sono affidate al soprano solista; torna nuovamente il tema iniziale “Lento, espressivo, dolorosamente” prima ai corni (mis. 151-152), poi ai tromboni (mis. 153-154) e dopo una breve modulazione al Fa# minore, ai fiati (mis. 159-160). Il tutto si ripete all’8^ terzina: Vidit suum dulcem natum, nuovamente al Mib minore, dopo un breve interludio orchestrale. 9^ terzina (Reb minore – mis. 209): Eja Mater fons amoris, ampio e nuovo tema contemplativo del coro maschile con i tromboni, risponde alla successiva terzina quello femminile con arpa e archi, che si uniscono nell’ultima frase. Prima di concludere, il tema, “Tempo I Assai tranquillo”, passa al primo violino con celesta e arpa (mis. 248). Siamo a metà della Sequenza e con un cammino a ritroso, Refice contrappone alle quattro terzine del soprano quelle del tenore solista, dalla 11a alla 14a. (mis. 293) Torna più volte il tema dominante dello Stabat con fiati, trombe ed archi, questa volta in La maggiore.. su un vivo molto ritmico degli archi, mentre il tenore prosegue: Fac me tecum pie flere, e con un “Più mosso” scaturisce una frase concitata che culmina al: “fammi piangere presso di te, lasciami accostare alla Croce finché vivrò”; è l’estrema catarsi del peccatore che implora il perdono divino. L’ultima terzina del tenore: Juxta Crucem tecum stare, è identica alla 11^. Tutto improvvisamente si va placando per tornare al “Largamente” del tema dominante. (15^ terzina – mis. 423): Virgo Virginum preclara, i soprani riprendono esattamente la 2^ terzina (Cujus animam gementem), per proseguire con tutto il coro alla 16^ terzina: Fac ut portem Christi mortem, identica alla 3^: O quam tristis et afflicta: i temi sono esattamente uguali anche nella veste orchestrale. Identica la 17^ terzina: Fac me plagis vulnerari, con i soli archi e nella medesima tonalità di Sol b maggiore. Prima della penultima terzina si ode minaccioso e lugubre suono dei tromboni e dei corni che intonano il tema gregoriano del: Dies irae, dies illa. Torna alla mente quello che Refice diceva ai suoi alunni: “Quando vedo quei corni, quell’oro, mi danno alla testa! Trattateli bene i corni e ad ogni strumento dategli un’anima!” E questo è temperamento wagneriano. Penultima terzina, la 19^: Christe cum sit inch exire (mis. 485), del soprano solista, con le indicazioni agoniche “Molto moderato, con molta tristezza”, accompagnata da oboi, corno inglese, fagotti, corni, arpa ed archi che anticipano il tema finale, con un canto sempre più disteso, per giungere al “Largamente, molto ritenuto e pesante sempre”: Quando corpus morietur, fac ut animae…eseguito dal coro all’unisono con tutta l’orchestra, alla quale Refice aggiunge via via arpa, celesta, timpani e tam-tam ottenendo una drammaticità intensa, che a volte non si ottiene con l’armonia di tutte le voci divise. Allo stesso modo con cui Verdi scrive il Coro del Nabucco o quello dei Lombardi: anche Puccini sentirà la medesima esigenza nel coro muto della Butterfly. Ma nell’ultima parte della frase: Paradisi gloria, esplode il dispiegarsi di tutte le voci e dell’orchestra. A poco a poco torna il tema nella pacata tonalità del La minore iniziale che non ci appare più tanto tragica.

©2007 Giuseppe Marchetti